Thierry Guilabert, Le veridiche avventure di Jean Meslier (1664-1729).
Curato, ateo e rivoluzionario
[Prefazione di Michel Onfray: «Il canto di guerra di un curato ateo»],
Edizioni La Fiaccola, Ragusa 2013, pp. 158, € 13,00
Considerato da Michel Onfray come il primo filosofo ateo della storia, Jean Meslier fu un precursore del secolo dei Lumi e un anticipatore del socialismo scientifico. Oltre a sviluppare una dettagliata critica materialista della religione in generale, e di quella cattolica in particolare, egli propugnò la comunione dei beni e la distribuzione del reddito in base ai bisogni. Ma la sua notorietà è successiva alla sua morte, grazie al fatto che le tre copie manoscritte del suo lungo Testamento intellettuale scamparono alla distruzione perché, trattandosi di un documento che conteneva le estreme volontà del defunto, ad esso venne attribuito un valore giuridico. Così, sebbene il suo autore non avesse avuto diritto alla sepoltura religiosa, il più perfetto manuale di ateismo di tutti i tempi, alla cui stesura Meslier aveva lavorato per circa cinque anni, sfuggì alla messa al rogo. Una sua copia passò, nel 1733, per le mani di Voltaire, che quasi trent’anni dopo ne pubblicò alcuni estratti, amputandoli delle parti atee e arricchendoli con posticci riferimenti deisti. Si sarebbe dovuto attendere fino al 1864 per poter leggerne la prima versione a stampa integrale.
Nel suo Testamento Meslier, che era stato ordinato sacerdote nel 1689, fustigava gli «errori» e gli «abusi del comportamento» del governo e «le vanità e le falsità di tutte le divinità», e chiedeva scusa ai fedeli della sua parrocchia per aver predicato il falso durante la sua quarantennale carriera ecclesiatica. La parte antireligiosa del testamento, che si dilunga in particolare nella confutazione dei Vangeli, nega l’esistenza di qualsiasi Dio e sostiene che le religioni sono soltanto invenzioni dell’uomo nate dalla paura e basate sulla superstizione, e che la fede religiosa è soltanto una luce tenebrosa alimentata dall’errore, dall’illusione e dall’impostura. Ad essa occorre sostituire la luce abbagliante dell’umana ragione.
Le idee dell’esistenza della divinità e dell’immortalità dell’anima, con tutta l’impalcatura dottrinaria e moralistica che le puntella, sono dunque menzognere. Ma un punto cruciale della critica meslieriana ruota attorno al fatto che la religione cristiana giustificava la prepotenza dell’Ancien régime. Predicando la sopportazione della miseria e delle ingiustizie sociali, essa idealizzava la sofferenza, la povertà e il dolore, facendosi strumento di asservimento sociale: così il cristianesimo disarmava le classi subalterne e le abbandonava alla mercé dei soprusi dei sovrani e dell’aristocrazia, che della religione si servivano per meglio conservare il proprio potere.
Contro questo tipo di struttura sociale classista, Meslier propone un nuovo modello alternativo, nettamente contrapposto alla proprietà individuale, al sistema fiscale e all’organizzazione giudiziaria il cui garante supremo era Luigi XIV, principale responsabile del saccheggio e della desolazione di tante province francesi. Il riscatto della stragrande maggioranza della popolazione, oppressa e sfruttata fino all’estremo limite della sopportazione, doveva fondarsi sull’abolizione violenta dei ceti parassitari: la nobiltà e il clero. Di qui il suo celebre cri de guerre: «Io vorrei, e questo sarà l’ultimo, il più ardente dei miei desideri, io vorrei che l’ultimo dei re fosse strangolato con le budella dell’ultimo dei preti!»
Nella visione meslieriana gli uomini debbono essere uguali, e proprietari allo stesso titolo della terra che lavorano e dei beni che producono. E questa utopia concreta viene sostanziata dai suoi appelli alla liberazione sociale, che ne fanno il fautore, oltre che di una concezione filosofica e politica materialistica, anche di una visione della società umana ideale basata su una sorta di egualitarismo anarco-comunista ante litteram: «La vostra salvezza è nelle vostre mani, la vostra liberazione non dipende che da voi, se solo riusciste a mettervi d’accordo; avete tutti i mezzi e le forze necessarie per liberarvi e per rendere schiavi i vostri stessi tiranni. (…) Trattenete nelle vostre mani tutte queste ricchezze e tutti i beni che producete in abbondanza col sudore della fronte (…), non datene affatto a questi superbi e inutili fannulloni che non fanno niente di utile nel mondo, e non date nulla di tutto ciò a tutti questi monaci e questi ecclesiastici che vivono inutilmente sulla terra, non date nulla a questi nobili fieri e orgogliosi che vi disprezzano e vi calpestano. (…) Unitevi tutti nella stessa volontà di liberarvi da questo odioso e detestabile giogo del loro tirannico dominio, nonché dalle vane e superstiziose pratiche delle loro false religioni.»
Il libro di Thierry Guilabert espone con dovizia di particolari la biografia e le idee straordinarie di Jean Meslier, il prete che, oltre ad essere un ateo militante, fu anche un «comunista primitivo», un fautore dei diritti delle donne e del libero amore, e anche un difensore dei diritti degli animali ‒ in una parola, il filosofo materialista e il teorico politico più audace del suo secolo ‒, e che, con i suoi appelli al tirannicidio, si fece apostolo dell’azione diretta per stimolare la scarsa coscienza sociale del popolo asservito: «Dove sono quei generosi uccisori di Tiranni che si son visti nei secoli passati? (…) Dove sono quei generosi difensori della libertà pubblica che cacciarono i Re e i Tiranni dai loro Paesi, dando licenza a tutti gli individui di ucciderli? (…) Perché non vivono ancora ai nostri giorni per accoppare o pugnalare tutti questi detestabili mostri e nemici del genere umano e per liberare in tal modo i popoli dalla loro tirannia?»
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