Sergej Vasil’evič Malyšev, Il Soviet dei disoccupati di San Pietroburgo. Come i bolscevichi organizzarono i senza-lavoro (1906-1908) (Prospettiva Marxista, Milano 2016)




Sergej Vasil’evič Malyšev,

Il Soviet dei disoccupati di San Pietroburgo.

Come i bolscevichi organizzarono i senza-lavoro (1906-1908)

[Con appendici documentarie; a cura di Paolo Casciola],

Prospettiva Marxista, Milano 2016, pp. 198, prezzo non indicato

                                                                                                                                          

 

Il volume che la rivista Prospettiva Marxista ha dato alle stampe nel settembre 2016, come primo titolo della sua collana «Filorosso», non è una semplice riedizione del testo di Malyšev pubblicato in lingua italiana a Bruxelles nel 1933 dalle Edizioni di Coltura Sociale ‒ la casa editrice in esilio di un Partito Comunista d’Italia ormai definitivamente stalinizzato ‒, del quale presenta una nuova traduzione sulla base del raffronto con le precedenti edizioni inglese e francese. Ad esso si aggiungono, oltre ad un prezioso apparato di note, un’introduzione storica del curatore su come i principali teorici marxisti hanno affrontato il problema della disoccupazione, una dettagliata biografia di Malyšev e due appendici di notevole importanza: la testimonianza di Vladimir Savel’evič Vojtinskij, che di quell’organizzazione dei disoccupati fu presidente, e la traduzione di alcuni volantini redatti e distribuiti dallo stesso Soviet dei disoccupati.

In una fase storica come quella odierna, in cui il fenomeno della disoccupazione appare in tutta la sua drammaticità e, sulla spinta delle dinamiche del modo di produzione capitalistico, si pone come questione grave e sempre più minacciosa negli stessi paesi a più vecchia industrializzazione, risulta di grande utilità politica riflettere su questa grande esperienza di organizzazione dei disoccupati nel quadro del movimento operario rivoluzionario. E non perché dalla ricostruzione di quella vicenda debba scaturire un’infallibile, schematica ricetta, la cui applicazione possa permettere ai militanti marxisti di oggi di sciogliere facilmente i nodi dell’organizzazione della forza-lavoro non occupata e del suo legame con le organizzazioni e le lotte dei lavoratori occupati. In primo luogo, infatti, la situazione di allora presenta, rispetto a quella attuale, differenze non irrilevanti: una diversa composizione organica del capitale, la diffusione di una tipologia di disoccupazione costituita da (ex) lavoratori legati al movimento operaio e costretti alla condizione di senza-lavoro dall’azione repressiva delle classi dominanti, l’onda lunga del ciclo rivoluzionario russo del 1905, la presenza di avanguardie rivoluzionarie molto più forti e radicate di quelle attuali, ecc. E, in secondo luogo, perché la stessa parabola storica del Soviet dei disoccupati è tutt’altro che un percorso idilliaco, privo di difficoltà, limiti e contrasti.

Ma proprio nella contraddittoria ricchezza di questa esperienza si può apprezzare il valore delle ricostruzione della sua storia, delle testimonianze relative alle sue forme di organizzazione e di lotta. Attraverso i ricordi dei protagonisti vediamo, infatti, scorrere davanti ai nostri occhi le aspre sfide poste agli organizzatori del Soviet dei disoccupati da ambiti proletari che versano spesso in condizioni difficili e degradate. Possiamo seguire il difficile ma grandioso affermarsi di una coscienza politica capace di rifiutare tanto la riduzione della figura del disoccupato a caso umano meritevole della pietà e della filantropia delle classi dominanti, quanto la subdola proposta di promozione a soggetto economico dal profilo imprenditoriale offerta dalle autorità della borghesia cittadina. Si tratta di un duplice rifiuto che si fonda sulla consapevolezza dei senza-lavoro di far parte del movimento operaio e di doverne condividere le lotte e il destino. Ma questo approdo è il risultato, mai definitivo e scontato, di una battaglia politica, dell’affermarsi di quell’influenza marxista, di quella guida teorica che possiamo cogliere, tra l’altro, nelle brevi ma significative indicazioni di Lenin.

Anche questa battaglia politica è stata, è e sarà una realtà contraddittoria, inevitabilmente costellata da momenti e aspetti problematici, visto che al suo cuore c’è il compito epocale di formare, contro tutto l’arsenale di cui può disporre la società borghese, un corpo di militanti rivoluzionari capaci di incarnare la teoria marxista, di rappresentarne nei fatti la funzione di guida della lotta proletaria. Non deve sorprendere, quindi, che in questo processo possano rientrare percorsi individuali segnati da una sofferta dedizione alla causa – una coerenza nel dolore che assume tratti quasi biblici – come quello del militante proletario Malyšev (che della breve epopea del Soviet dei disoccupati fu uno dei principali protagonisti), destinato a spegnersi nel clima plumbeo e oppressivo della controrivoluzione stalinista, ma anche i più effimeri slanci del giovane studente universitario Vojtinskij, condannato nel tempo all’incomprensione e al rifiuto della strategia bolscevica.

Ancora una volta, chi si avvicinasse a questo libro sperando di trovarvi facili e ovvie risposte politiche andrebbe incontro ad una delusione. Ma è invece proprio nell’appassionata rievocazione del duro impegno a cui si è dedicato un universo umano e politico reale, non mitizzato, che possiamo trovare spunti estremamente interessanti, complessi, profondi, nel prosieguo di quella lotta che seppe portare gli strati più deboli, più ricattabili, più fragili della classe sfruttata a riconoscersi in un’organizzazione autonoma, depositaria di una coscienza e di una dignità di classe che oggi possono apparire persino irreali, tanto profondo è il regresso sociale determinato da decenni di sostanziale apatia proletaria nella realtà italiana. Organizzandosi come componente cosciente del movimento operaio, i disoccupati di San Pietroburgo seppero, inoltre, sottrarsi al tipico e nefasto utilizzo da parte borghese dell’esercito industriale di riserva come arma di pressione sui lavoratori occupati. Le lezioni contenute nella ricostruzione dell’esperienza del soviet dei disoccupati vanno dunque individuate, scoperte, decifrate.

Ma, una volta enucleati dalla specifica situazione storica i compiti e i passaggi politici che anche oggi si pongono di fronte alla militanza rivoluzionaria nei confronti del fenomeno della disoccupazione, la strada battuta dai nostri predecessori diventa un punto di riferimento gravido di stimoli, di fecondi interrogativi, di conferme. Tra queste ultime si impone quella della possibilità e della necessità di attestare nella società capitalistica ‒ sia nelle sue fasi di crisi e di oscillazione, sia in quelle di repressione e di stabilità ‒ un nucleo di militanti rivoluzionari capaci di affrontare l’imprescindibile nodo del collegamento, del tramite tra la coscienza politica marxista e l’esperienza concreta della classe operaia nelle complesse dinamiche del capitalismo.

Il Soviet dei disoccupati ci offre, quindi, da un angolo di visuale particolarmente interessante, una pregnante descrizione di quella dialettica tra partito ed energia spontanea della classe che deve scorrere e vivificare nella profondità del processo rivoluzionario. Se davvero di processo rivoluzionario si tratta.

[Una versione leggermente diversa della presente recensione è apparsa, sotto il titolo «Il Soviet dei disoccupati di Pietroburgo: un’importante esperienza storica», L’Internazionale. Periodico comunista, a. XX, n. 148, (Livorno,) febbraio 2017, pp. 11-12 (N.d.r.).]

 

 

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