Sandro Saggioro, In attesa della grande crisi. Storia del Partito Comunista Internazionale ... (Colibrì, 2014)


 

 

Sandro Saggioro, In attesa della grande crisi.

Storia del Partito Comunista Internazionale ‒ «il programma comunista» (dal 1952 al 1982),

Edizioni Colibrì, Paderno Dugnano 2014, pp. 528, € 24,00

                                                                                                                                          

 

Pur nella sua autonomia tematica, questo nuovo libro di Sandro Saggioro si colloca sul medesimo solco di quello che quattro anni prima l’autore aveva dedicato alla storia del Partito Comunista Internazionalista negli anni 1942-52 (Né con Truman né con Stalin, Colibrì, Paderno Dugnano 2010): un rapporto di continuità che, però, comporta una distinzione essenziale. All’atto della sua creazione ‒ in seguito alla scissione del 1952 tra la tendenza capeggiata da Bruno Maffi e quella guidata da Onorato Damen ‒, il partito di cui questo nuovo volume traccia la storia riprese il nome di quello originario, dando così luogo a due «partiti comunisti internazionalisti» fino al 1964, allorché esso mutò la seconda parte dell’aggettivazione, trasformandosi in Partito Comunista Internazionale. Sotto la guida di Maffi, e con l’apporto decisivo di Amadeo Bordiga, esso tentò di far sentire la sua voce attraverso il proprio organo di stampa, Il Programma Comunista, e fu l’unica formazione che possa legittimamente venir designata ‒ anche se, così facendo, si contravviene alla rigida consegna teorica e pratica di Bordiga ‒ come bordighiana, e tale sotto il profilo della completa adesione alla peculiare lettura del marxismo che ha caratterizzato il pensiero di quest’ultimo nonché sotto quello dell’ordinamento del partito stesso, ordinamento basato su una elaborazione dottrinaria che sfociò in un centralismo politico e organizzativo diverso da quello leniniano. Quello che fu messo alla prova nel trentennio che corre dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta del secolo scorso è, insomma, il modello partitico bordighiano.

Tuttavia Saggioro non si limita unicamente a riproporre le enunciazioni delle posizioni principali del pensiero di Bordiga, ma si sforza di illustrare la vita e il dibattito interni di quell’organizzazione e la politica che essa mise in atto nei contesti in cui cercò di svolgere la propria azione, battendosi senza remore né compromessi su una linea intransigentemente rivoluzionaria. Nel quadro di una realtà segnata dalla vittoria su tutta la linea della borghesia ‒ facilitata dal collaborazionismo di classe dei principali partiti «di sinistra», e in primo luogo dal PCI togliattiano ‒ e dalla pesante sconfitta del proletariato nel secondo dopoguerra, quei militanti furono ben consapevoli della profondità del baratro da cui si doveva risalire. Come affermò lo stesso Bordiga nel settembre 1952:

«Questo è il momento di depressione della curva del potenziale rivoluzionario (…). In tal momento privo di vicine prospettive di grande sommovimento sociale non solo è un dato logico della situazione la politica disgregazione della classe proletaria mondiale; ma è logico che siano gruppi piccoli a saper mantenere il filo conduttore storico del grande corso rivoluzionario, teso come grande arco tra due rivoluzioni sociali, alla condizione che tali gruppi mostrino di nulla voler diffondere di originale e di restare strettamente attaccati alle formulazioni tradizionali del marxismo.»

Oltre a ripercorrere la traiettoria trentennale dell’organizzazione raccoltasi intorno al giornale Il Programma Comunista ‒ il cui primo numero risale all’ottobre 1952 ‒, l’autore fornisce anche una serie di coordinate politiche e temporali delle varie scissioni che essa ebbe a subire prima del suo definitivo éclatement del 1982. In quell’anno cruciale, le divergenze emerse sulla «questione palestinese» in relazione agli avvenimenti libanesi ‒ divergenze che nell’agosto di quell’anno avevano provocato il distacco dei gruppi maghrebini ‒ segnalarono l’incapacità di rispondere alle nuove realtà e determinarono agli inizi ottobre, ad una riunione delle sezioni francesi, la decisione di alcuni militanti di constatare la mancanza di omogeneità politica che in diversi casi aveva contrapposto la base alla direzione, l’applicazione puramente formalistica della disciplina di partito e, in definitiva, il fallimento del Partito Comunista Internazionale nello sviluppare al suo interno un dibattito politico reale, nel rapportarsi attivamente (e non passivamente) ai movimenti sociali e nell’essere ormai organicamente incapace di passare all’azione pratica e di proporsi effettivamente come guida delle lotte proletarie. Il testo del documento diffuso da quei militanti alcuni giorni dopo la riunione parigina, nella quale fu proposto lo scioglimento del partito, conteneva un giudizio inappellabile:

«In realtà, è tutta la concezione dell’uso della teoria e del programma restaurati dalla Sinistra ad essere falsa, in un senso:

- Contemplativo, accademico e indifferentista in rapporto al movimento sociale ‒ attitudine che si è rivelata in pieno di fronte alla guerra in Libano.

- Nell’atteggiamento di distanza ed anche di arroganza nei confronti di tutte le frange rivoluzionarie e combattive in nome della difesa del patrimonio della Sinistra, o della difesa di una indipendenza di classe che non è oggi il più delle volte da preservare, ma realmente da conquistare come parte pregnante del movimento sociale.»

Nella parte conclusiva del libro vengono passate brevemente in rassegna le varie formazioni, estremamente minoritarie, che ancor oggi continuano a richiamarsi a quell’esperienza e, ovviamente, anche all’eredità politica precedente, quella del “bordighismo” dalla fine degli anni Venti agli inizi degli anni Cinquanta. Saggioro sottolinea però che nessuno di tali raggruppamenti ha avuto un qualche sviluppo significativo tale da dimostrare la propria egemonia rispetto alle altre formazioni dell’«area bordighista», né tanto meno è mai stato riconosciuto in alcun modo dalla classe operaia o da altri strati del proletariato come propria espressione, come rappresentante dei suoi interessi storici o di lotta contingente.

Il volume è completato da una nutrita appendice contenente documenti importanti e spesso di difficile reperibilità, quando non addirittura inediti ‒ come, ad esempio, il carteggio intercorso tra Bordiga e Bruno Rizzi ‒, e si basa largamente su una grande mole di testi, tra cui figurano circolari interne, scritti riservati, corrispondenze personali e testimonianze rese all’autore da alcuni dei protagonisti di quella storia.

 

 

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