Gregor Benton (a cura di),
Prophets Unarmed.
Chinese Trotskyists in Revolution, War, Jail, and the Return from Limbo,
Brill, Leiden-Boston 2015, pp. XVIII-1269, € 199,00
I trotskisti cinesi sono stati una delle minoranze politiche più perseguitate in quel paese, sia sotto il dominio del Guomindang di Jiang Jieshi [Chiang Kai-shek], che li considerava come dei pericolosi rivoluzionari, sia sotto il regime stalinista di Mao Zedong [Mao Tse-tung], che li definiva «controrivoluzionari». Nei primi anni Trenta, centinaia di trotskisti cinesi furono imprigionati o spediti nei campi di lavoro forzato da Jiang Jieshi in Cina e da Iosif Stalin nell’Unione Sovietica. Un numero imprecisato di loro vi trovò la morte. Altri vennero perseguitati e assassinati nelle «basi rurali» del Partito comunista cinese (PCC) negli anni Trenta e Quaranta, insieme migliaia di comunisti «ortodossi» falsamente accusati di essere trotskisti. La polizia coloniale contribuì a questa caccia all’uomo: nel 1932 l’arresto di Chen Duxiu [Chen Tu-hsiu] e di Peng Shuzi [Peng Shu-tse], ad esempio, fu orchestrato dai servizi segreti francesi e britannici in collaborazione con le autorità del Guomindang. La persecuzione continuò anche nei confronti di coloro che erano riusciti ad abbandonare il paese: nel 1950 la polizia politica segreta di Hồ Chí Minh assassinò, in Vietnam, il trotskista cinese Liu Jialiang [Liu Chia-liang]; le autorità coloniali di Hong Kong deportarono Wang Fanxi [Wang Fan-hsi] a Macao; e in Francia gli agenti stalinisti cercarono di assassinare Peng Shuzi.
La fase finale di questa ondata di persecuzioni incominciò in Cina poco più di tre anni dopo la presa del potere da parte di Mao, allorché, nel dicembre 1952, circa un migliaio di militanti e simpatizzanti trotskisti (nella cifra sono compresi anche molti dei loro familiari, ugualmente colpiti dalla repressione mao-stalinista) furono arrestati con una retata di ampiezza nazionale e spediti in prigione o nei campi «di rieducazione». Soltanto nel giugno 1979 il veterano trotskista settantanovenne Zheng Chaolin [Cheng Chao-lin] e una dozzina di altri vecchi oppositori riacquistarono una libertà relativa a Shanghai. I trotskisti cinesi furono uno dei pochi gruppi a non essere riabilitati nel 1978; e a tutt’oggi l’anatema staliniano è rimasto in vigore, anche se nell’edizione 1991 delle Opere scelte di Mao i trotskisti non vengono più apostrofati con gli epiteti di «gruppo di banditi controrivoluzionari» e «agenti del Giappone». Ma se la storiografia cinese si è in una certa misura «emancipata» dopo la morte del «grande timoniere» (avvenuta nel settembre 1976), e nonostante la parziale riabilitazione di Chen Duxiu – fondatore del PCC nel 1921 e principale esponente del trotskismo in Cina, alla cui figura e ai cui scritti viene giustamente dedicata una parte considerevole di Prophets Unarmed –, la burocrazia di Pechino non ha permesso che la prima storia del trotskismo cinese scritta in quella lingua venisse data alle stampe sul territorio cinese.
Ed è proprio la traduzione inglese integrale di tale studio (Wu Jimin, Lyanyu. Zhongguo Tuopai de kunan yu fendou [Purgatorio. Il cimento e le lotte dei trotskisti cinesi], Bafang wenhua chuangzuo shim, Singapore 2008) ad aprire questo grosso volume antologico curato da Gregor Benton, professore emerito di storia della Cina all’Università di Cardiff e principale specialista mondiale di storia del trotskismo in quel paese. Prophets Unarmed è un’opera di riferimento fondamentale per lo studio del movimento di opposizione manifestatosi all’interno del PCC fin dai primi anni di vita di quel partito, e soprattutto all’indomani della sconfitta della seconda rivoluzione cinese del 1925-27. Attraverso ampi estratti delle memorie di alcuni protagonisti – l’autobiografia incompiuta di Chen Duxiu, An Oppositionist for Life di Zheng Chaolin e Memoirs of a Chinese Revolutionary di Wang Fanxi –, il volume ripercorre quelle tappe iniziali ricostruendo i dibattiti politici che ebbero luogo in seno al PCC (soprattutto rispetto all’ingresso del partito nel Guomindang nazionalista-borghese patrocinato dal Cremlino) non soltanto in Cina ma anche tra i comunisti cinesi presenti nell’Unione Sovietica (si veda in proposito il contributo di Alexander V. Pantsov e Daria A. Spichak, «Chinese Students and the International Lenin School in Moscow, 1926-38», pp. 366-388).
L’unificazione dei quattro gruppi trotskisti cinesi, agli inizi di maggio del 1931, sembrò aprire nuove prospettive. Ma tre settimane dopo quasi tutti i dirigenti e molti militanti furono arrestati e condannati a pene detentive da 6 a 15 anni, e una nuova ondata di arresti si abbatté sull’organizzazione nell’autunno del 1932. In quegli anni, le divergenze politiche tra i vari esponenti del trotskismo cinese – su questioni cruciali come la natura della rivoluzione in Cina, l’azione comune con la borghesia liberale o l’appello alla creazione di un’Assemblea Costituente – continuarono a pesare gravemente sul suo sviluppo politico e organizzativo. Le testimonianze dei protagonisti raccolte in questo volume ne danno ampiamente conto, anche se questa impostazione prevalentemente «memorialistica» – nel senso di una storia ricostruita attraverso la lente, talvolta deformante, dei ricordi e dei carteggi personali – avrebbe forse potuto essere integrata da una più ampia selezione di documenti originali, tratti dai giornali e dai bollettini interni dell’epoca.
Lo scoppio della guerra sino-giapponese (luglio 1937) non fece che aggravare ulteriormente la situazione, sollevando ex novo o riportando alla ribalta importanti problemi di tattica politica (e politico-militare) che, nel contesto del conflitto armato, provocarono nuovi attriti tra i trotskisti cinesi. Le divergenze si aggravarono quando, con l’inglobamento della guerra sino-giapponese nella «guerra del Pacifico» dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor (dicembre 1941), la discussione politica in seno alla sezione cinse della Quarta Internazionale portò alla rottura tra una tendenza «di sinistra» diretta da Wang Fanxi – secondo la quale, con l’ingresso in guerra degli Stati Uniti d’America, la guerra della Cina contro il Giappone invasore assumeva un carattere imperialista e, di conseguenza, occorreva adottare in Cina una posizione disfattista rivoluzionaria – e le vedute di Peng Shuzi, che denunciò quell’impostazione «ultrasinistra» e sostenne invece la necessità di mantenere la posizione tradizionale del movimento di appoggio militare alla guerra antimperialista della Cina e di difesa incondizionata dell’Unione Sovietica (mentre la tendenza estremista arrivò a ritenere che l’URSS staliniana fosse un «capitalismo di Stato»). A questi dibattiti viene consacrato uno spazio considerevole.
Il libro curato da Benton si sofferma poi sull’analisi sviluppata dai trotskisti rispetto alla politica del PCC negli anni Quaranta, con particolare riferimento agli sviluppi della lotta di guerriglia che nel 1949 condusse alla vittoria di Mao e, successivamente, all’instaurazione di un regime stalinista in Cina; e si conclude con una serie di contributi sull’impatto del trotskismo sulla letteratura cinese, con una documentazione relativa alla liberazione di alcuni detenuti trotskisti dopo una prigionia quasi trentennale nelle prigioni e nei GULag maoisti, e con i necrologi di alcuni dei protagonisti della storia del trotskismo cinese: i già citati Chen Duxiu (1879-1942), Wang Fanxi (1907-2002), Zheng Chaolin (1901-1998) e Peng Shuzi (1895-1983), ma anche la compagna di quest’ultimo Chen Bilan (1902-1987), Lou Guohua (1906-1995), Wu Jingru (1907-1979) e il britannico Frank Glass detto Li Furen (1901-1988), che negli anni Trenta giocò un importante ruolo dirigente nell’ambito del movimento trotskista in Cina.
Il volume può essere richiesto direttamente alla casa editrice attraverso il seguente link: