Giovanni Focardi‒Cecilia Nubola (a cura di), Nei tribunali. Pratiche e protagonisti della giustizia di transizione nell'Italia repubblicana (Il Mulino, Bologna 2015)




Giovanni Focardi–Cecilia Nubola (a cura di),

Nei tribunali.

Pratiche e protagonisti della giustizia di transizione nell’Italia repubblicana,

Società Editrice Il Mulino, Bologna 2015, pp. 396, € 32,00

 

In Italia la giustizia ha rivestito un’importanza fondamentale nel passaggio da un regime all’altro, tra guerra e dopoguerra, nel periodo che va dal 1943 al 1955. I saggi proposti in questo volume indagano la legislazione e le pratiche dell’epurazione, e le politiche di clemenza nel nome della «riconciliazione nazionale». Per capire le scelte compiute in tema di giustizia è dunque fondamentale rivolgere l’attenzione non soltanto ai magistrati, alla loro cultura, alla loro formazione e alla loro carriera nell’Italia tra fascismo e Repubblica, ma anche agli altri protagonisti/attori presenti nelle aule dei tribunali: gli avvocati, le vittime, i carnefici, i testimoni.

In quel periodo denso e complesso, le spinte al rinnovamento e i richiami autoritari, per un ritorno al passato regime, si incrociarono e si confrontarono con modalità talvolta drammatiche. La giustizia di transizione – un concetto su cui la riflessione storiografica rimane tuttora aperta – si attuò attraverso l’insieme delle leggi speciali e dei provvedimenti amministrativi di epurazione, i tribunali e i processi attuati prima contro gli ex fascisti di Salò e poi nei confronti dei partigiani, e anche mediante le misure di clemenza: amnistie e provvedimenti di grazia.

Nella prima parte del libro, intitolata «La legislazione, gli avvocati e i magistrati», il lavoro di Toni Rovatti («Tra giustizia legale e giustizia sommaria. Forme di punizione del nemico nell’Italia del dopoguerra») getta uno sguardo complessivo sulle forme di punizione del nemico nell’Italia del dopoguerra, ossia sulla legislazione speciale elaborata a partire dal 1943 dai governi del Sud per segnare il distacco dal regime fascista, epurando chi si era compromesso col regime stesso e poi con la Repubblica Sociale Italiana (RSI), e punendo dunque anche quanti, negli anni della guerra civile del 1943-45, si erano resi responsabili di collaborazionismo e di vari altri delitti, tra cui i crimini di guerra. Accanto alla giustizia amministrata dai tribunali ad hoc sussistettero comunque, nei primi mesi del dopoguerra, anche forme di vendetta e di giustizia sommaria contro gli esponenti del fascismo.

Ai protagonisti presenti nelle aule, avvocati e magistrati chiamati a difendere, accusare e giudicare i responsabili di crimini avvenuti poco tempo prima, in tempo di guerra, sono dedicati i saggi di Francesca Tacchi («Difendere i fascisti? Avvocati e avvocate nella giustizia di transizione») e di Giovanni Focardi («Arbitri di una giustizia politica: i magistrati tra la dittatura fascista e la Repubblica democratica»).

La seconda parte del volume, «Imputati e processi», si apre con uno studio di Massimo Storchi («Partigiani e fascisti: tribunali e carceri per una giustizia di transizione. Una ricerca in corso») che si concentra su un aspetto non ancora indagato a fondo: quello dei tribunali istituiti dai partigiani nel corso della guerra per giudicare i fascisti catturati e imprigionati, con un’attenzione particolare per l’attività svolta dal Tribunale partigiano del Comando Unico delle Brigate Garibaldi e Fiamme Verdi nella zona tra Reggio Emilia e Modena dall’ottobre 1944 all’aprile 1945.

«Collaborazionisti» è il termine introdotto dalla legislazione speciale per definire quegli imputati, uomini e donne, che avevano aderito, con ruoli e responsabilità diversi, alla RSI. Le attività processuali vengono analizzate da Giancarlo Scarpari («Processo a un ministro della Giustizia»), che prende in esame la vicenda di Pietro Pisenti, ex ministro della Giustizia della RSI; da Floriana Colao («I processi a Rodolfo Graziani. Un modello italiano di giustizia di transizione dalla Liberazione all’anno Santo»); e da Cecilia Nubola («Collaborazioniste. Processi e provvedimenti di clemenza nell’Italia del secondo dopoguerra»), che si sofferma sulle esperienze giudiziarie di alcune donne che avevano operato nella RSI.

Come si sa, i processi non riguardarono soltanto degli ex fascisti. Soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, un numero rilevante di partigiani si trovò coinvolto in vicende giudiziarie, accusati di crimini comuni in tempo di guerra. Del caso eccellente di uno di loro – il partigiano comunista Francesco Moranino (nome di battaglia: «Gemisto»), che nel Biellese divenne comandante del Distaccamento «Pisacane» delle Brigate Garibaldi –, delle sue fughe all’estero e dei provvedimenti di clemenza concessi e negati, si occupa Philip Cooke («Francesco Moranino: un caso giudiziario fra Resistenza, desistenza e Guerra fredda»).

Questo lavoro apre la terza parte del libro, «Una giustizia di “lunga durata”», che affronta appunto il protrarsi nel tempo dei processi e il riaffacciarsi di temi e problemi sui quali si era invece cercato di stendere un velo di oblio, cancellandone la memoria. Alcuni saggi sono dunque incentrati sulla ricostruzione di un passato che ritorna, su alcuni processi degli anni Novanta e del Duemila che riprendono i fili di vicende interrotte e a volte materialmente sepolte negli «armadi della vergogna». Una nuova sensibilità si è affermata nelle Corti di giustizia degli ultimi decenni e, più in generale, nella cultura giuridica, grazie allo spazio, inedito, accordato da un lato ai testimoni e, dall’altro, alle vittime.

Ilaria Pavan («La “Holocaust Litigation” in Italia. Storia, burocrazia e giustizia [1955-2015]») ricostruisce le lunghe e complesse vicende per i risarcimenti in ambito civile agli ebrei in Italia. Dal punto di vista dei sopravvissuti chiamati a fornire la loro testimonianza in tribunale, Andrea Speranzoni («La difesa delle vittime nei processi per crimini nazifascisti in Italia. Tra ricostruzione dei fatti e “irrisolto” risarcitorio») prende in esame le nuove modalità di difesa, raccontando anche la propria esperienza nei processi per crimini fascisti degli ultimi anni.

Nuovo è anche, nello spazio del tribunale, il ruolo accordato ad una figura inedita di «testimone»: lo storico, chiamato a vestire i panni dell’«esperto». Ne è esempio la testimonianza di Marc Olivier Baruch al processo, celebrato a Bordeaux nell’autunno 1997 contro Maurice Papon, ex dignitario del gollismo (era stato ministro nel 1978-81) accusato di complicità in crimini contro l’umanità per il suo incarico di segretario generale della Prefettura della Gironda dal 1942 al 1944; in quella veste, Papon aveva organizzato una procedura di arresti, di detenzione in campi di prigionia e di invio al campo di Drancy, punto di partenza per il trasporto nei campi di sterminio di centinaia di uomini, donne e bambini ebrei.

La testimonianza di Baruch fa da introduzione al saggio di Yan Thomas («La verità, il tempo, il giudice e lo storico»), che chiude il volume con interessanti considerazioni sui rapporti tra ricostruzione storica e ricostruzione giudiziaria.

 

 

Il volume può essere richiesto direttamente alla casa editrice attraverso il seguente link:

https://www.mulino.it/isbn/9788815260093