Giovanni C. Cattini, Nel nome di Garibaldi. I rivoluzionari catalani, i nipoti del Generale e la polizia di Mussolini


 

 

Giovanni Conrad Cattini, Nel nome di Garibaldi.

I rivoluzionari catalani, i nipoti del Generale e la polizia di Mussolini (1923-1926),

Biblioteca Franco Serantini, Pisa 2010, pp. 256, € 20,00

                                                                                                                                          

La spedizione italo-catalana del novembre 1926, promossa da Francesc Macià e da diversi membri delle “Legioni garibaldine” dei nipoti di Giuseppe Garibaldi, per l’indipendenza della Catalogna e contro la dittatura spagnola di Miguel Primo de Rivera, è una delle pagine più oscure e meno frequentate dalla storiografia italiana. L’alleanza internazionale di repubblicani, socialisti, anarchici, ex arditi ed ex fiumani che ne fu alla base e la condotta equivoca dei nipoti di Garibaldi, assieme alle trame della polizia fascista italiana, restituiscono la complessità del fenomeno “garibaldino” e allo stesso tempo contraddicono, almeno in parte, la visione semplificata di un “garibaldinismo” popolare e di sinistra che, dall’unificazione italiana, sarebbe passato a lottare senza soluzione di continuità per la democrazia nella Guerra civile spagnola e, infine, nella Resistenza in Italia.

Questa traduzione del volume El Gran Complot. Qui va trair Macià? La trama italiana (Ara Llibres, Barcelona 2009) permette al lettore italiano di avvicinarsi allo scandalo internazionale collegato all’arresto, avvenuto nel novembre 1926 ad opera della polizia francese, di Ricciotti Garibaldi, nipote dell’Eroe dei Due Mondi, con l’accusa di essere un confidente del Ministero dell’interno italiano, per conto del quale organizzava complotti antifascisti che denunciava previamente a Roma: arrestando poi i candidati attentatori, il Duce aveva in mano ottime prove per puntare il dito contro i governi che davano loro ospitalità, e per giustificare così la repressione internazionale contro i fuorusciti antifascisti.

L’altro elemento dello scandalo ‒ indubbiamente uno dei più gravi che il fascismo dovette affrontare, proprio nel momento in cui ultimava l’annichilimento delle istituzioni liberali per imporre la propria dittatura ‒ fu, appunto, il coinvolgimento dei volontari dell’esercito catalano di Macià, che aveva organizzato la spedizione antidittatoriale e indipendentista catalana. In nome della solidarietà internazionalista, con loro partirono infatti anche dei “garibaldini” italiani, che vennero quasi tutti arrestati alla frontiera franco-spagnola; e tutto sembrava indicare che fossero stati denunciati proprio da Ricciotti.

Contro la spedizione catalana giocò anche l’erronea lettura che portava a confondere Macià con Ricciotti Garibaldi. In questo senso sono esemplari le memorie dell’anarchico Armando Borghi o i giudizi sprezzanti di Gaetano Salvemini: entrambi furono infastiditi dalla complessa, eterogenea alleanza di elementi che presero parte all’impresa catalana del 1926. Invece la maggior parte della storiografia catalana ha sempre sottovalutato il ruolo di Ricciotti, senza accorgersi che fu proprio la volontà francese di attaccare il fascismo italiano e i suoi intrighi, attraverso il nipote di Garibaldi, a creare una condizione favorevole all’esaltazione, per contrasto e giustapposizione, dell’idealismo di Macià.

Il libro ricostruisce l’incontro tra quelle due esperienze antidittatoriali ‒ italiana e catalana ‒, ripercorrendone gli antecedenti nel clima della Prima Guerra mondiale e concentrandosi sul primo dopoguerra, quando il preludio di due guerre civili aveva portato rispettivamente al potere Benito Mussolini e Primo de Rivera. Le due esperienze di lotta contro le rispettive dittature trovarono il loro punto di contatto nell’esilio francese, dove collaborarono per cercare di sconfiggere quello che ritenevano il dittatore più debole.

 

 

Il volume può essere richiesto direttamente alla casa editrice attraverso il seguente link:

http://www.bfs.it/edizioni/libro.php?id=173