Corrado Basile‒Alessandro Leni, Amadeo Bordiga politico. Dalle lotte proletarie ... (Colibrì, 2014)


 

 

Corrado Basile‒Alessandro Leni,

Amadeo Bordiga politico. Dalle lotte proletarie del primo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta,

Edizioni Colibrì, Paderno Dugnano 2014, pp. 782, € 32,00

 

                                                                                                                                          

I due autori di questo dettagliato studio dell’attività politica di Amadeo Bordiga (1889-1970) ‒ particolarmente significativa nella storia d’Italia e del movimento operaio in genere dal 1914 al 1922 ‒ scrivono che egli ha rappresentato la parte migliore dell’intransigentismo della Seconda Internazionale e del Partito Socialista Italiano (PSI), e che il suo è stato un milieu che avrebbe potuto dare, a condizione di un’effettiva ripresa e di un rinnovamento del marxismo, «i fuochi dell’Iskra», secondo una felice espressione di Danilo Montaldi. Ciò non soltanto con la costituzione del Partito Comunista d’Italia (PCd’I), ma anche dopo la degenerazione della Terza Internazionale e nel corso della lotta contro lo stalinismo, nella quale Bordiga e i bordighisti furono in prima fila, così come nel secondo dopoguerra. Gli autori sostengono anche che questa possibilità sarebbe esistita fino a che la chiusura dogmatica in una riduzione della lotta politica a propaganda ‒ riduzione sempre presente, in forma più o meno accentuata a seconda delle circostanze, in quella che è stata chiamata «sinistra comunista italiana» ‒ è stata elevata a sistema in un modo che non ha permesso né continuità né ripresa. A dispetto di tale conclusione, essi considerano la parabola di questa tendenza come interna, a pieno titolo, allo sforzo ‒ che caratterizzò gli avvenimenti successivi alla Prima Guerra mondiale a partire dalla rivoluzione russa ‒ di «rovesciare lo stato di cose presente» combattendo le forze conservatrici e controrivoluzionarie, e ritengono che nessuno tra coloro che aspirano alla riapertura del confronto possa prescindere da un serio studio dell’attività di Bordiga e dei suoi compagni.

Su vari aspetti del libro si può non concordare, ma va riconosciuta l’originalità del lavoro, che ha cercato di affiancare i fatti della lotta di classe (l’opposizione proletaria alla guerra di Libia, la Settimana rossa, l’insurrezione di Torino, lo «sciopero delle lancette», la rivolta di Ancona, l’occupazione delle terre e delle fabbriche, la resistenza all’offensiva fascista dopo la scissione socialista di Livorno) e il pensiero del comunista napoletano fuori dai clichés della storiografia ufficiale. Questi clichés vanno da quello denigratorio degli storici di osservanza stalinista/togliattiana ‒ passando per l’uso in funzione socialdemocratica o democratica tout court del destino da «pensatore maledetto» riservato al comunista napoletano ‒ fino a quello, forse meno «ufficiale» ma solo in apparenza, che ha trascurato proprio i fatti della lotta di classe in nome di una ricostruzione basata su una logica prevalentemente «interna» alle idee di Bordiga. A questi clichés si sono sottratti, purtroppo, ben pochi studiosi.

L’originalità del lavoro di Basile e Leni, che è anche una rassegna di tutto rispetto della bibliografia esistente e delle fonti, consiste nell’aver seguito il filo dei problemi che si posero via via, dapprima alle forze rivoluzionarie del vecchio movimento socialista fallito nel 1914, poi al Komintern e al PCd’I, e infine ai nuclei che non accettarono la cappa oscurantista dello stalinismo. Esso tratta anche episodi importanti rispetto ai quali non si conoscono prese di posizione di Bordiga come, ad esempio, il movimento zimmerwaldiano e la sua ala sinistra promossa da Lenin, oppure la rivolta di Ancona e del litorale adriatico e l’impresa fiumana di Gabriele D’Annunzio (dal punto di vista della lotta contro il trattato di Versailles intrapresa dal governo rivoluzionario di Mosca e dall’Internazionale Comunista ‒ un aspetto, questo, non considerato dallo stesso Bordiga, il quale assunse nel 1920 verso il fiumanesimo un atteggiamento non dissimile da quello dei massimalisti e dei riformisti, anche se il libro fa stato di una successiva e parziale autocritica). Nella stessa fattispecie rientra in qualche modo, con un salto temporale, l’esposizione sulla guerra civile spagnola. In alcuni passaggi si accenna inoltre al silenzio di Bordiga negli anni Sessanta sulla lotta progettata da Lenin, ormai malato, contro lo «sciovinismo grande-russo» di Stalin nel 1923 e alle posizioni rinunciatarie di Trotsky in proposito, che indubbiamente ebbero gravi conseguenze all’interno dell’Unione sovietica e nel resto del mondo. Purtroppo il libro, incentrato sulla figura di Bordiga, non poteva andare oltre alcuni accenni a questo riguardo, anche perché la questione rimase sconosciuta nel 1923-24, per volontà del partito sovietico, all’interno del movimento comunista internazionale.

Va anche segnalato il capitolo dedicato al III Congresso del Komintern (giugno-luglio 1921), in occasione del quale si verificò un memorabile scontro sulla tattica tra Lenin e Umberto Terracini, capo della delegazione italiana e all’epoca braccio destro di Bordiga nell’Esecutivo del PCd’I. La storiografia ufficiale si è sempre limitata a citare questo scontro trattenendosi dal macchiare troppo, con un’accusa di estremismo, uno dei padri fondatori della Repubblica democratica, giudicato al massimo come «sviato dalle cattive compagnie» ‒ e lo stesso Terracini non vi trovò nulla da eccepire. Ma anche Bordiga, allora e successivamente, non fece molto per chiarire una vicenda spiacevole per il partito italiano. Basile e Leni fanno parlare i documenti e utilizzano anche criticamente un discorso di Bordiga degli anni Sessanta recentemente venuto alla luce.

Particolare rilievo assume inoltre il capitolo consacrato alla sconfitta dell’Alleanza del Lavoro, preliminare alla Marcia su Roma e all’arrivo al potere di Mussolini. Bordiga definì l’intervento del PCd’I nelle lotte proletarie iniziate nel febbraio 1922, e culminate con lo sciopero generale di agosto, come un positivo esperimento di tattica comunista. Gli autori contestano questo giudizio con un’analisi approfondita, dalla quale si può dissentire, ma della quale ci sembra che sia necessario tener conto. Segnaliamo anche un particolare curioso che avrebbe forse meritato maggiore spazio: in questo libro per la prima volta viene riportato un giudizio politico di Mussolini su Bordiga risalente al 1919 e relativo alla Frazione astensionista del PSI.

Più sintetica, ma non meno incisiva, è la parte del libro dedicata al periodo dell’attività di Bordiga successivo al 1945. A partire dal 1952 egli cercò di dare forma partitica alle proprie tesi, presentate nel primo dopoguerra all’interno della Terza Internazionale ‒ soprattutto ai bolscevichi ‒ come richiesta di un supplemento di intransigenza. Questo bordighismo partitico, che ha trovato sistemazione dopo la metà degli anni Sessanta, si è scontrato con una realtà complessa che esso non ha saputo interpretare e nella quale, pertanto, non ha saputo intervenire efficacemente fino a quando nel 1982, dodici anni dopo la morte di Bordiga, le forti spinte centrifughe prodotte dalla realtà stessa non l’hanno fatto sparire letteralmente dalla scena. Nella «diaspora» iniziata dopo questa crisi sono scomparse quella vivacità, quell’acutezza di giudizio e perfino, a volte, quella capacità autocritica che hanno, nonostante tutto, caratterizzato Bordiga, e delle quali il volume fornisce abbondante testimonianza.

 

 

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