Boris Volodarsky,
Stalin’s Agent. The Life and Death of Alexander Orlov
[Prefazione di Paul Preston],
Oxford University Press, Oxford 2015, pp. XXXIV-789 + 8 tavole fuori testo, £ 30,00
«Boris Volodarskij ha scritto la prima biografia critica completa di Aleksandr Orlov, uno dei personaggi più straordinari nella storia degli inganni e delle frodi del XX secolo. La combinazione di una ricerca esaustiva con la messa a fuoco dei dettagli fa di questo libro un punto di svolta nella storiografia sulla Guerra Civile spagnola e fornisce un’affascinante messa a nudo dei fallimenti della CIA e del KGB»: queste le parole con cui lo storico britannico Paul Preston ha salutato l’uscita di Stalin’s Agent. Si tratta, in effetti, di un libro ricco di rivelazioni che integra, e in più d’un caso smentisce, la pur importante biografia che ad Orlov era stata consacrata dal suo «controllore» del Federal Bureau of Investigation (FBI) statunitense Edward Gazur (Alexander Orlov. The FBI’s KGB General, Carroll & Graf Publishers, New York 2002) e anche quella redatta a quattro mani da John Costello e Oleg Tsarev (Deadly Illusions. The KGB Orlov Dossier Reveals Stalin’s Master Spy (Crown Publishers, New York 1993).
Fino alla metà degli anni Trenta, Lev Lazarevič Fel’dbin (1895-1973) – questo il vero nome di Orlov, che nella sua carriera lo modificò più volte – fu un agente di media importanza dei servizi segreti staliniani. Attivo a Berlino, Parigi, Ginevra, Vienna, Copenhagen e Londra, venne inviato in Spagna alla metà di settembre del 1936 in veste di agente di collegamento tra il NKVD e il Ministero degli Interni repubblicano. A Barcellona fu coinvolto, tra l’altro, nell’invio a Mosca delle riserve auree spagnole, ma si specializzò in particolare nella caccia ai seguaci di Lev Trotsky e diresse l’operazione che doveva portare all’assassinio di Andreu Nin, il principale dirigente del Partido Obrero de Unificación Marxista (POUM). In quello stesso periodo egli stabilì un legame con Kim Philby, che in Spagna stava creandosi quella reputazione di destra che avrebbe favorito il suo reclutamento nel servizio segreto britannico. Orlov sostenne di aver reclutato Philby, anche se il libro dimostra ampiamente che così non fu. In ogni caso, Philby fu uno dei Cambridge Five – i cinque giovani rampolli dell’alta società inglese che abbracciarono la causa del «comunismo» staliniano – e un agente doppiogiochista fino al 1963, data in cui scelse di defezionare e di stabilirsi definitivamente a Mosca. Ma per quasi trent’anni questa «talpa» aveva provocato gravi danni al Regno Unito e all’Alleanza Atlantica, comunicando ai servizi segreti staliniani informazioni di altissimo livello.
La parte centrale del libro di Volodarsky è indubbiamente quella relativa alle attività di Orlov in Spagna. Esso presenta materiali del tutto nuovi su almeno due dei principali episodi della guerra civile: il massacro di militari e civili franchisti a Paracuellos de Jarama (novembre-dicembre 1936) e il già ricordato rapimento di Nin (giugno 1937), che morì sotto tortura senza confessare le colpe immaginarie che i suoi carnefici intendevano estorcergli. Ma in Spagna Orlov fu anche direttamente coinvolto nell’assassinio di altri personaggi scomodi, come il comunista antistalinista austriaco Kurt Landau. Per dirla con Preston: «Dopo il lavoro di Volodarsky, la storia politica della zona repubblicana nel conflitto spagnolo non sarà più la stessa.»
Mentre si trovava in Spagna, Orlov, che temeva di cadere vittima dell’ondata di terrore di massa scatenatasi nell’Unione Sovietica in seguito all’assassinio di Sergej Kirov (dicembre 1934), e soprattutto dopo l’organizzazione dei grandi processi-farsa di Mosca (1936-38), decise di defezionare. Dopo aver sottratto consistenti fondi operativi dalle casse spagnole del NKVD, nel luglio 1938 Orlov e sua moglie raggiunsero gli Stati Uniti. Ma a differenza di altri agenti che avevano compiuto la stessa scelta, egli non offrì subito i suoi servigi agli USA. Anzi, la presenza sul territorio statunitense di un (ex) agente sovietico del suo calibro non venne scoperta dalle autorità. Per evitare rappresaglie, Orlov trasmise ai suoi superiori a Mosca una lettera in cui prometteva di non rivelare nessun segreto. Se però il NKVD avesse adottato delle misure contro di lui e la sua famiglia (compresi i parenti della coppia residenti nell’Unione Sovietica), egli non avrebbe esitato a fare delle rivelazioni assai imbarazzanti sulle attività dei servizi segreti staliniani e, in particolare, su Philby e altri agenti doppiogiochisti. La lettera affermava chiaro e tondo: «Se mi lasciate in pace, non farò mai nulla che arrechi danno al Partito o all’Unione Sovietica.» Il ricatto funzionò, e per quindici anni Orlov mantenne quell’impegno.
Stabilitosi a New York, nel dicembre 1938 Orlov inviò una missiva anonima a Lev Trotsky – allora esule in Messico – per metterlo in guardia circa le attività di informatore dei servizi segreti staliniani di Mordka Zborowski – rivelazione che Trotsky prese tranquillamente sottogamba, considerandola frutto di una provocazione staliniana. Quando i suoi fondi cominciarono a scarseggiare, il «generale» Orlov decise di uscire allo scoperto e di avviare una campagna che lo avrebbe accreditato come la principale spia sovietica che aveva scelto di defezionare in Occidente. Agli inizi del 1953 egli pensò di poter racimolare un sacco di grana vendendo la sua storia, e la morte di Stalin, in marzo, accelerò il suo progetto. Grazie all’intercessione di Louis Fischer, egli riuscì a far pubblicare sulla rivista Life una serie di quattro articoli sui «Segreti di Stalin»; un quinto articolo apparve poi nell’aprile 1956, dopo le rivelazioni di Nikita Chruščëv sui crimini di Stalin al XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. La pubblicazione dei primi quattro articoli fu rapidamente seguita dal volume di Orlov, The Secret History of Stalin’s Crimes (Random House, New York 1953), che divenne ben presto un bestseller a livello mondiale.
Com’era naturale, il direttore del FBI, John Edgar Hoover, si infuriò dopo aver appreso da una rivista a larghissima tiratura come Life che un agente sovietico di quel calibro fosse vissuto negli Stati Uniti, all’insaputa di tutti, per quasi un quindicennio. Interrogato dal FBI, Orlov mescolò fatti reali ma innocui a invenzioni fuorvianti e non rivelò alcun segreto relativo alle attività del NKVD negli anni Trenta. Ciò nonostante, egli divenne un consulente della CIA e del FBI, riuscendo a vivere un’esistenza assolutamente confortevole negli Stati Uniti. E comunque, a dispetto del numero impressionante di fonti archivistiche consultate, Volodarsky non è riuscito a sciogliere l’ultimo mistero di Orlov: quello dei suoi rapporti con il KGB nei primi anni Settanta. Nell’estate del 1971 il KGB, infatti, lo invitò a ritornare nell’Unione Sovietica, dove sarebbe stato accolto come un eroe. Egli declinò l’offerta ma – secondo le biografie consacrategli da Gazur e da Costello/Tsarev – Orlov consegnò all’emissario di Mosca che lo aveva contattato, Michajl Feoktistov un lungo elenco di funzionari statunitensi che avrebbe potuto interessare i servizi di sicurezza sovietici.
Quando morì nell’aprile 1973, Orlov portò sicuramente con sé molti misteri, alcuni dei quali rimarranno probabilmente tali. Tuttavia i suoi amici dei servizi segreti statunitensi, conoscendo i forti legami del «generale» con la terra russa, pensarono di elargire un tributo postumo ad un uomo che tanto «aveva aiutato il governo USA nella lotta contro la diffusione del comunismo a rischio della propria vita» (E. Gazur, op. cit., p. 589). Così essi pensarono di orchestrare una beffa ai danni del KGB: qualche tempo dopo trasportarono a Mosca una parte delle sue ceneri, che vennero sparse nel Gor’kij Park, non lontano dal Cremlino e dalla sede centrale dello stesso KGB. Un degno finale, insomma, assolutamente in linea col personaggio.
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