Balance
Cuaderno de historia,
n. 38, septiembre de 2014, pp. 70, € 6,00
Questo numero di Balance, curato da Agustín Guillamón, reca il titolo complessivo «Correspondencia entre Diego Camacho (“Abel Paz”) y Juan García Oliver» e raccoglie, oltre al carteggio intercorso tra i due esponenti del movimento libertario spagnolo tra il 1970 e il 1979, le loro schede biografiche, ampi estratti di un articolo di Diego Camacho intitolato «Contra la burocracia y el “liderismo natural”» (tratto da Historia Libertaria, n. 4, marzo-aprile 1979, pp. 22-27) e un commento conclusivo di Octavio Alberola. Lo scambio epistolare abbraccia il periodo in cui Diego Camacho Escámez (1921-2009) andava ultimando la redazione del suo primo libro su Buenaventura Durruti (Durruti: el proletariado en armas, Editorial Bruguera, Barcelona 1978), mentre Juan García Oliver (1902-1980) completava la stesura delle sue memorie (El eco de los pasos. El anarcosindicalismo en la calle, en el Comité de Milicias, en el gobierno, en el exilio, Ruedo Ibérico, Paris-Barcelona 1978).
La figura di García Oliver emerge qui in tutta la sua contraddittorietà. Dopo essere stato un importante organizzatore e stratega dei combattimenti di strada del 19-20 luglio 1936, il giorno seguente, in occasione di una riunione plenaria della Confederación Nacional del Trabajo (CNT) a Barcellona, egli propose di andare «fino in fondo» nella lotta rivoluzionaria. Tale proposta venne però sconfitta a favore della collaborazione col governo borghese della Generalitat patrocinata da Federica Montseny Mañé (per convinzione) e da Diego Abad de Santillán (per timore di un intervento straniero), e della formazione del Comité Central de Milicias Antifascistas (CCMA): un organismo militare creato sulla base politica di quella stessa collaborazione di classe, e in seno al quale García Oliver giocò poi un ruolo dirigente decisivo fino al suo scioglimento. Come scrive giustamente Guillamón, quella discussione vide scontrarsi «la posizione maggioritaria [del movimento anarchico spagnolo] che propugnava la collaborazione col resto delle forze antifasciste e quella (…) di García Oliver, che consisteva nell’insediare una “dittatura anarchica” o, per meglio dire, dei dirigenti e dei notabili della CNT e della Federación Anarquista Ibérica (FAI), guidata da García Oliver.»
In definitiva, dunque, il plenum della CNT del 21 luglio 1936 ‒ per dirla con le parole dello stesso Diego Camacho ‒ «non affrontò il problema della rivoluzione, ma quello del potere». La rivoluzione che si sviluppava nelle strade di Barcellona aveva creato i suoi primi organismi di base, che la CNT non cercò né di coordinare né di sostenere, marginalizzando in tal modo la prospettiva rivoluzionaria. In mancanza di questo legame organico con il movimento reale delle masse proletarie, un’eventuale dittatura anarchica come quella proposta da García Oliver avrebbe comunque portato i vertici dell’anarcosindacalismo a sostituirsi ai comitati rivoluzionari di base. «Nella pratica» commenta Guillamón, «di fronte all’urgenza e all’importanza dei problemi posti dalla guerra e dalla rivoluzione, (…) sorse un Comitato dei comitati, formato dai “notabili” anarcosindacalisti, che si sostituì all’Organizzazione nell’adozione delle decisioni.»
Nell’avviare la sua corrispondenza con García Oliver, Diego Camacho prese le mosse proprio dagli esiti di quella riunione plenaria, che costituiscono poi il tema centrale della sua critica alle posizioni dei dirigenti della CNT e della FAI, i quali subordinarono la rivoluzione al «problema del potere», sottomettendo la forza del popolo in armi alle combinazioni governative. Con conseguenze devastanti.
Va infatti ricordato che il 4 novembre 1936 García Oliver abbandonò le proprie posizioni «estremiste» e accettò la carica di ministro della Giustizia nel governo borghese (ma anche socialdemocratico e, soprattutto, staliniano) del Frente Popular presieduto da Francisco Largo Caballero. Insieme a García Oliver entrarono nella compagine governativa altri tre ministri anarchici: Juan Peiró Belis (all’Industria), Juan López Sánchez (al Commercio) e la summenzionata Federica Montseny (alla Sanità). Questa collaborazione di governo, che durò fino al maggio 1937 e che non mancò di suscitare forti opposizioni in seno allo stesso movimento anarchico spagnolo e internazionale, ci riporta alla mente la critica radicale avanzata da Trotsky mettendo in evidenza il ruolo dei capi anarchici che, in una situazione rivoluzionaria, avevano sospinto le masse proletarie nel campo del Fronte Popolare, cioè del regime borghese:
«Se gli anarchici fossero stati rivoluzionari, avrebbero innanzitutto fatto appello alla creazione di soviet [consigli] (…). Invece gli anarcosindacalisti (…) si sono rivelati essere, con grande sorpresa di tutti e di loro stessi, la quinta ruota del carro della democrazia borghese. Ma non per lungo tempo: una quinta ruota è qualcosa di superfluo. Dopo che García Oliver e i suoi compagni ebbero aiutato Stalin e i suoi tirapiedi a strappare il potere agli operai, gli anarchici sono stati anch’essi cacciati dal governo del Fronte Popolare. (…) Di per se stessa, la semplice giustificazione secondo cui “non abbiamo preso il potere, non perché non ne fossimo capaci, ma perché non l’abbiamo voluto, perché eravamo contrario a qualsiasi dittatura” e via dicendo, contiene una condanna irrevocabile dell’anarchismo in quanto dottrina profondamente antirivoluzionaria. Rinunciare alla conquista del potere significa lasciarlo volontariamente a chi lo detiene, agli sfruttatori» (La lezione della Spagna: ultimo avvertimento, 17 dicembre 1937).
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