Angelo Pagliaro–Marco Capecchi–Fabrizio Poggi,
La Banda dello Zoppo.
Storie di resistenza armata al Fascismo dei fratelli Scarselli e della Banda dello Zoppo
nei racconti dei protagonisti e della stampa dell’epoca,
Coessenza, Cosenza 2016, pp. 222, € 12,00
Il fatto scatenante accadde il 28 febbraio 1921 a Certaldo, importante centro toscano tra Firenze, Siena e Pisa. La causa di tutto fu apparentemente futile, ma la ragione vera va ricercata nei barbari assassinii del socialista Gino Mugnai e del sindacalista comunista Spartaco Lavagnini, avvenuti il giorno prima a Firenze per mano fascista.
Un litigio tra il fratello e l’ex fidanzato di una ragazza, avvenuto nel contesto di una fiera nella piazza centrale di Certaldo, scatenarono la rabbia che serpeggiava tra i giovani anarchici e comunisti. Intervennero i carabinieri e scoppiò una rivolta: spari, ferimenti, morti, e infine, nel tardo pomeriggio, barricate per impedire ai fascisti di entrare in paese. Il libro – che fa seguito ad un primo lavoro di Angelo Pagliaro: La famiglia Scarselli. Volti, idee, storie e documenti di una famiglia anarchica temuta da tre dittature, pubblicato dalla stessa casa editrice cosentina nel 2012 – analizza a fondo quelle vicende e i loro «strascichi». Segnaliamo peraltro che l’interesse per la vicenda della famiglia Scarselli e per i cosiddetti fatti della fiera del 28 febbraio 1921 erano stati precedentemente analizzati anche in un volume di Lelio Lagorio: Ribelli e briganti nella Toscana del Novecento. La rivolta dei fratelli Scarselli e la banda dello zoppo in Valdelsa e nel Volterrano, Olschki, Firenze 2002.
Questo nuovo lavoro scaturisce proprio dall’esigenza di fare chiarezza su un episodio che, dopo decenni di silenzio, è riemerso all’attenzione degli storici come «rivolta di ribelli e briganti». Se niente si può obiettare in merito alla definizione di «rivolta», molto c’è invece da discutere sulla caratterizzazione di «briganti» con la quale lo storico di scuola «socialista» Lagorio definì i protagonisti di una forma disperata di resistenza contro un fascismo ormai vincente. Infatti le vicende che interessarono la Toscana nei primi mesi del 1921 non possono essere considerate alla stregua di un residuo inerziale del brigantaggio tardo-ottocentesco. Si trattava invece di forme di lotta provocate dalle violenze fasciste che in quel periodo coinvolsero, oltre a Certaldo, città e luoghi come Empoli, il Porto (una frazione di Lastra a Signa), Scandicci e il quartiere fiorentino di San Frediano. Lo scrittore Vasco Pratolini descrisse da par suo, nel romanzo Lo Scialo, quest’ultima fiammata di ribellione ad una reazione che ormai si stava impossessando dei gangli del potere locale e nazionale con l’aperto sostegno della borghesia e delle forze dell’ordine. Una fiammata che vedrà molti anarchici impegnati, insieme ai comunisti, in una battaglia destinata alla sconfitta per il ritardo che la segnava e per la stanchezza dovuta al logoramento di due anni di lotte operaie e contadine tradite dalla socialdemocrazia nelle fasi culminanti del Biennio Rosso.
Oltre a questo risarcimento politico, e a questa ricollocazione storica dei fatti all’interno di una prospettiva adeguata, uno degli aspetti più interessanti del libro è la pubblicazione, al suo interno, della traduzione di un testo finora inedito in Italia: Sotto gli artigli del Fascismo. Memorie di un lavoratore emigrato politico, redatto Tito Scarselli e dato alle stampe nel 1931 a Mosca in 10.000 copie.
Tito, uno dei fratelli Scarselli, aveva preso parte da protagonista alle azioni della Banda dello Zoppo (così denominata per la claudicanza del fratello Oscar) e alle vicende del 1921, con i successivi arresti e le conseguenti fughe ed evasioni. Quando scrisse il suo libro di memorie, Tito viveva a Jalta, in Crimea, dove era emigrato per sfuggire al carcere fascista, in una comune agricola insieme ad Oscar. Della comune facevano parte l’anarcosindacalista milanese Francesco Ghezzi e una decina di altri membri. Fu l’anarchico russo German Borisovič Sandomirskij (1882-1938) – che all’epoca collaborava con i bolscevichi e che sarebbe poi tragicamente scomparso nell’universo concentrazionario dei GULag staliniani – ad aiutare Tito a redigere in lingua russa il racconto della propria famiglia e dei militanti anarchici e comunisti di Certaldo. L’introduzione a quel volumetto venne scritta da Edmundo Peluso (1882-1942), giornalista antifascista iscritto al Partito Comunista d’Italia fin dalla sua fondazione a Livorno, nel gennaio 1921, il quale nel 1927 era riuscito a sfuggire agli artigli del Tribunale Speciale fascista rifugiandosi nell’Unione Sovietica, dove sarebbe poi stato perseguitato dallo stalinismo e infine fucilato in Siberia.
Il libro di Tito ripercorre, sul filo del ricordo, le vicissitudini che videro protagonisti, oltre ai membri della famiglia Scarselli, anche altri giovani certaldesi: dalle barricate del febbraio 1921 a Certaldo alla morte del fratello Ferruccio; dalla fuga dello stesso Tito, nella stazione di Bologna, dal treno che lo stava portando in carcere, e dall’evasione di Oscar dal carcere di Volterra, ai mesi trascorsi alla macchia dalla banda per sfuggire ai rastrellamenti degli squadristi e dei carabinieri; dall’uccisione del segretario del partito fascista di San Vivaldo all’aiuto offerto dalla popolazione ai ribelli; dalla fuga nell’URSS con un altro componente della banda, Serafino Calvetti, al ricongiungimento con il fratello Oscar. La testimonianza sconta un linguaggio necessariamente criptico e dissimulato per sfuggire, con ogni probabilità, alla censura sovietica: per questa ragione non vi si fa riferimento alla militanza anarchica dei protagonisti, e francamente eccessive appaiono le esaltazioni del «paese dei soviet».
Altamente significative sono, comunque, le pagine in cui vengono descritte le condizioni di esistenza di Tito e Oscar nell’URSS: le loro relazioni, le loro illusioni, la repressione staliniana, le lettere ai familiari, le critiche coraggiose alla dittatura della burocrazia bonapartista. La vicenda dei fratelli Scarselli è, da questo punto di vista, paradigmatica di un’intera generazione di militanti. E se il libro ha un merito, è quello di far giungere fino a noi le parole sofferte e lucide di persone umili e sconosciute che hanno fatto – senza averne dei privilegi, ma anzi subendone le peggiori conseguenze – un pezzo importante di storia per la liberazione dell’uomo da ogni forma di sfruttamento e di oppressione, per la giustizia sociale. Le memorie di Tito, nel loro complesso, sono un documento di grande rilevanza, trattandosi dell’unica testimonianza giunta fino a noi di un protagonista di fatti drammatici che per lungo tempo sono stati ignorati per evidenti ragioni politiche, perché in contrasto con le narrazioni edificanti ed edulcorate della lotta popolare contro il fascismo volute dalle forze politiche «di sinistra» dell’arco costituzionale nel secondo dopoguerra.
Oltre a Sotto gli artigli del Fascismo, il libro ospita anche un suggestivo racconto di Sandomirskij, originariamente apparso in un suo volume di ricordi pubblicato a Mosca nel 1929, che ha per oggetto il soggiorno di Tito e Oscar Scarselli a Jalta. E, nei saggi a corredo delle memorie di Tito, di grande interesse sono le pagine riguardanti i destini di alcuni membri della Banda dello Zoppo: Guido Nencini, morto in circostanze oscure nel penitenziario di Santo Stefano il 28 ottobre 1926; Alfredo Veracini, spirato nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto; Danilo Scarselli, deceduto il 26 giugno 1925, a soli 21 anni, mentre scontava la pena nel carcere di Firenze, ufficialmente per un intervento chirurgico, anche se le cause della sua morte appariranno, fin da subito, molto dubbie. Giovani vite stroncate, probabilmente, in conseguenza delle sevizie e delle torture subite. Del resto, uno spaccato della violenta repressione che si abbatté sui protagonisti di quelle vicende si deduce anche dalla sorveglianza, dalle persecuzioni e dalle crudeltà alle quali vennero sottoposte le donne della famiglia Scarselli: Ida, Ines Leda e la madre Maria Mancini. Donne che, tra l’altro – se si esclude la madre, morta di crepacuore a Roma nel luglio 1926 –, ressero di fatto le sorti della propria famiglia (assistendo, aiutando, incitando, consolando) mentre i fratelli erano emigrati o in carcere e il padre Eusebio era stato ricoverato nel marzo 1929 a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni psichiche dovuto alle innumerevoli sofferenze impostegli dal regime fascista; sarebbe poi morto in un ospedale romano nel novembre 1934.
Altre parti del volume sono dedicate alla vita e all’economia delle campagne toscane negli anni Venti e al ruolo giocato dalla stampa dell’epoca nel criminalizzare la Banda dello Zoppo. Il libro si conclude con una sostanziosa appendice documentaria e fotografica. Il tutto contribuisce ad una comprensione esaustiva della resistenza al fascismo in Toscana nel suo periodo iniziale ed evidenzia il ruolo svolto dal movimento anarchico in quel crepuscolo del Biennio Rosso – nel quadro di una «guerra civile» tra le classi subalterne e la reazione capitalista –, come ultima e purtroppo insufficiente risposta ad una controrivoluzione preventiva ormai vincente grazie alle connivenze che si erano rafforzate e stabilizzate tra il fascismo, la borghesia agraria e industriale, e gli apparati repressivi dello Stato.
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