Agustín Guillamón, I Comitati di Difesa della CNT a Barcellona (1933-1938).
Dai Quadri di difesa ai Comitati rivoluzionari di quartiere,
le Pattuglie di controllo e le Milizie popolari
[Prefazione di Dino Erba: «Spagna 36. Una rivoluzione impossibile?
O l’impossibilità della rivoluzione?»],
All’Insegna del Gatto Rosso, Milano 2013, pp. 228, prezzo non indicato
La sconfitta inflitta all’esercito fascista dal popolo di Barcellona il 19 luglio 1936 è uno dei miti più radicati nella storia della Rivoluzione sociale spagnola. La «spontaneità» della risposta operaia e popolare al sollevamento militare fu catalizzata e coordinata dai Comitati di difesa della Confederación Nacional del Trabajo (CNT) anarcosindacalista. Tali comitati, che erano già attivi fin dai primi anni Trenta e che fungevano da organizzazione armata della CNT, costituirono i nuclei dell’esercito di miliziani che, nei giorni successivi, sostenne lo scontro militare sul fronte d’Aragona. Essi furono inoltre la base dei numerosi comitati rivoluzionari di quartiere che avrebbero controllato Barcellona fino alla restaurazione del potere frontepopulista/borghese della Generalitat con l’appoggio fondamentale degli organismi dirigenti della stessa CNT e della Federación Anarquista Ibérica (FAI).
La sconfitta dei militari franchisti aveva infatti aperto una situazione rivoluzionaria, e la risposta dei vertici della CNT si mosse tra due opzioni fondamentali: la dittatura anarchica proposta da García Oliver e il collaborazionismo con il governo capitalista del Frente Popular ‒ e dunque con le varie organizzazioni proletarie e borghesi che ad esso partecipavano ‒ patrocinato da Federica Montseny e dal gruppo Nervio (Abad de Santillán). La vittoria di quest’ultima tendenza rese in un certo senso obsolete le funzioni rivoluzionarie e di contropotere che i comitati rivoluzionari di quartiere avevano inizialmente assunto, e le Patrullas de control monopolizzarono allora la violenza rivoluzionaria nella retroguardia, sottraendo tale compito ai Comitati di difesa.
Neppure l’insurrezione «spontanea» del maggio 1937, che cercò di fermare la controrivoluzione fomentata dallo stalinismo, può avere una spiegazione senza i Comitati di difesa dei quartieri di Barcellona. La sconfitta del tentativo insurrezionale nelle «Giornate di maggio», determinata dal cessate il fuoco ordinato dai capi della CNT, assicurò la vittoria armata degli stalinisti, che alla fine di settembre sciolsero manu militari tutti i comitati di difesa di quartiere. L’ideologia dell’«unità antifascista», che univa in seno al governo della Generalitat, gli stalinisti, la borghesia repubblicana e gli anarchici collaborazionisti, senz’altro obiettivo se non quello di vincere la guerra e di annientare la rivoluzione, diede poi impulso ad una repressione selvaggia contro lo stesso movimento anarcosindacalista, contro il Partido Obrero de Unificación Marxista e contro il piccolo nucleo trotskista presente a Barcellona.
Questo volume esamina ed evidenzia l’esistenza di diversi modi di intendere la CNT e l’essenza stessa della rivoluzione libertaria in seno al movimento anarcosindacalista spagnolo di quell’epoca. Tali differenze diedero luogo, nel corso del periodo repubblicano e durante la Guerra Civile, a numerosi scontri tra i difensori coerenti della rivoluzione nell’ambito dei comitati di base e coloro che concepivano la CNT-FAI come un partito in più nel campo dell’antifascismo, ripetendo sempre, a mo’ di giustificazione per l’abbandono dei principi libertari, che il momento era grave ed eccezionale. Alla fine, sia gli uni che gli altri furono sconfitti politicamente nel corso del conflitto. Ma anche in quei drammatici frangenti si riesce ancora oggi ad intravvedere la forma che la società libertaria avrebbe potuto assumere in una Barcellona proletaria coesa e organizzata, attraverso i comitati di quartiere protetti dai Comitati di difesa.
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Dino Erba
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